Piera

Inizio col dire che sì, il mal d’Africa esiste per davvero. A distanza di ormai quindici giorni dalla fine del mio viaggio ho ancora un po’ di nostalgia al pensiero di ciò che è stato.

Il 9 novembre 2025 metto piede per la prima volta in terra africana e la prima cosa che mi ha colpito sono stati i colori. Il blu intenso del cielo, la terra rossa e il verde della vegetazione, che insieme creano un contrasto meraviglioso ed accogliente.

Prima della partenza, non sapevo davvero che cosa aspettarmi, che effetto mi avrebbe fatto un paese con una cultura e un modo di vivere così lontano dal mio.

E dopo tre giorni a Malindi di mare paradisiaco, esperienze indimenticabili immersi nella natura, e anche, bisogna dirlo, insetti ripugnanti, inizia la vera avventura. Quella della “Vera Africa”, come ci disse Padre Frencis.

L’esperienza di volontariato a contatto con i bambini è qualcosa che in qualche modo mi ha sempre affascinato e incuriosito, ma soprattutto in questo momento della mia vita ho voluto fortemente viverla in prima persona.

Nell’interminabile viaggio in pulmino dall’aeroporto di Nairobi all’orfanotrofio si respirava un misto tra adrenalina ed eccitazione. Vedevo i miei compagni d’avventura, che avevano già vissuto questa esperienza, euforici e impazienti di arrivare a destinazione mentre io pensavo: “Cosa proverò al mio arrivo?”

Beh vi posso garantire che avevano ragione ad essere così emozionati!

Appena abbiamo imboccato la strada sconnessa verso la struttura, ho cominciato a sentire una sorta di agitazione che, al pensiero, mi fa ancora venire i brividi .. e quando tutti i bambini ci hanno circondati urlando di gioia, saltando, sorridendo e cantando sono letteralmente crollata. Non ricordo di avere mai visto così tanta felicità.

Il primo bambino che ho visto dal finestrino, giacca e cappellino azzurri, è stato Mike (spero di aver scritto correttamente il suo nome), il quale mi ha aspettato che scendessi dal pulmino per stringermi a sé e non lasciarmi andare per non so quanti minuti. E da lì é stato un susseguirsi di abbracci e saluti di benvenuto.

In quell’istante ho perso la cognizione del tempo.

Questo è stato il mio arrivo a Shalom.

E quella sera, una volta a letto, ho pensato che in quel momento non potevo né volevo essere da nessuna parte, se non lì.

Il mattino dopo vengo svegliata dal forte rumore della pioggia sulla lamiera, tanto forte che, inaspettatamente, Padre Frencis quella mattina durante la messa non ha predicato; perché nulla é puntuale in Africa, tranne la messa delle 7 del mattino!!

A proposito di Padre Frencis, mi ha colpito il suo rapporto con i bambini e i ragazzi di Shalom.. un rapporto amorevole e per certi versi amichevole, ma basato sul rispetto. Valore che, insieme alla condivisione, all’aiuto reciproco e all’educazione, ho visto molto presente e questo mi ha fatto molto piacere. Ricordo che la prima mattina abbiamo distribuito le caramelle ai bimbi e proprio in quell’occasione uno di loro si é rivolta a me, offrendomi la sua caramella. Mi si é stretto il cuore.

Quando mi chiedono della mia esperienza in Africa, rispondo che é stato “tutto tanto forte”…ogni emozione che provavo era intensa.

Ho visto e vissuto situazioni assurde, ai limiti della credibilità, come la storia del piccolo Angelo Munene che non dimenticherò mai. Ho visitato luoghi incredibili, come le cave in cui gli operai sottopagati, rischiano la vita ogni giorno, trasportando massi enormi a piedi nudi o con ciabatte di plastica.

Ho vissuto tutto questo, circondata e accompagnata ogni giorno da quei mostriciattoli pieni di vita, che sorridono sempre, nonostante tutto. In un mondo che ormai é privo di ogni emozione, pieno di pochezza, dove nessuno sembra accontentarsi e troppi vivono in ricchezza senza cuore, ho conosciuto loro. Bambini che non hanno nulla ma ti regalano i sorrisi più veri, che trovano felicità nelle cose più semplici: un abbraccio condiviso, una risata, un gioco inventato con niente.

E per questo devo ringraziarli.

Ho il dolce ricordo di quando rispondevo correttamente alla loro domanda: “Piera, what is my name?” Leggevo in loro la soddisfazione di essere riconosciuti e ricordati.

Ma anche se non ho una memoria abbastanza capiente da ricordarmi tutti i loro nomi, non mi scorderò mai i loro sguardi e i loro sorrisi caldi.

Grazie a loro ho conosciuto la vera Africa, cruda e ingiusta, ma profondamente viva.

Una volta tornata a casa pensavo ai sorrisi che avevo lasciato e a quelli che avevo portato con me.

A Shalom é rimasto un pezzo del mio cuore, certa che continuerà a battere insieme a quelli che ho lasciato lí.

Infinitamente grata.

Piera

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